Scrivo, ogni tanto.
Da quel mio mattino di ragazzo, al mio paese. Da quell'assillo d'amore per Annina, complice un filo di sole che le cadde, quel giorno, sull' oro delle trecce.
E io fuggii, ebbro di lei, ad un vicolo tra gli orti, sotto un mandorlo, a pensarla. Le scrissi, quella sera. Una poesia. Tutt'ora nascosta nell'interstizio di un libro che so.
Avevo copiato, in quegli stessi giorni a scuola, una frase alla lavagna: "A tutto. A tutto può, la poesia..."
Ed oggi, anche se so che non è vero, continuo a farlo, quando m' accade; attendendo, tra le ragioni dello scrivere, al bisogno di un qualche moto di danza, di suono, come viatico dolce, o quietante consolo alle notti.
E non so se siano, per me, le parole, una via d'uscita alla stessa musica, o piuttosto un propagarsi di essa: un voler scolpire, ancor più che ridipingere, il fine e il senso di ciò che ci preme e ci prende.
Di ciò che ci dimora in cuore.